Società e Cultura

Cervelli in fuga: diventare medico studiando in Romania

La storia di Bruno, ragazzo italiano, emigrato per inseguire il suo sogno, si parla di cervelli in fuga

In Italia si parla tanto di cervelli in fuga. Ma dietro questa dicitura si nascondono molte storie, fatte di umanità e di speranza, come quella di Bruno Minipoli.
Da cinque anni questo giovane ragazzo italiano studia medicina in Romania. Lo abbiamo intervistato per conoscere la sua storia e, soprattutto, per sapere come funziona il sistema medico rumeno.

Come mai hai scelto di studiare in un’università della Romania?

Nel 2012, dopo aver provato un paio di volte il test di ammissione in Italia, ho cercato un’altra strada per studiare medicina. Ho superato il test in inglese nella mia università e mi sono iscritto. Il mio corso di studi è in inglese, ma ho dovuto studiare anche il rumeno per relazionarmi con i pazienti.

E perché poi hai deciso di restare?

Nonostante abbia avuto molte possibilità di tornare a casa, ho preferito rimanere qui. Qui in Romania lo studio universitario è basato anche sulla pratica, quindi mi ha dato la possibilità di verificare quotidianamente “sul campo” le mie conoscenze, e questo è stato il motivo principale. Inoltre, il metodo di insegnamento dei professori è molto simile a quello americano, con lezioni che non sono solo frontali, ma fatte di domande e risposte, con esempi, esercizi e test continui per verificare il nostro livello di apprendimento.

Perché hai scelto la strada della medicina?

In realtà, nonostante nella mia famiglia ci sia più di un medico, non pensavo a questa facoltà. Quando, poi, ho cominciato a studiare seriamente mi sono molto appassionato. E adesso capisco chi nella mia famiglia ha scelto questa strada e mi piace parlare con loro sull’argomento.

Cosa significa per te fare il medico?

Bella domanda. Fare il medico significa non smettere mai di imparare ed essere curiosi, non temere di chiedere aiuto in momenti di difficoltà, relazionarsi quotidianamente con gente in difficoltà o sofferente e impegnarsi il più possibile per aiutarle ad attraversare la malattia con dignità.

Come funziona il college dove studi?

Ho lezioni dal lunedì al venerdì distribuite nell’arco della giornata, dalle 8 del mattino alle 8 di sera. Una differenza rispetto all’Italia è che qui noi facciamo tra i 7 agli 11 esami a semestre, con un solo appello durante la sessione di esami, che dura 3 settimane. Per ogni materia seguiamo 2 ore di corso e da 2 a 6 di laboratorio a settimana. Due volte a semestre abbiamo un test per ogni materia, mentre l’ultima settimana del semestre è riservata agli esami di laboratorio. I primi due anni i laboratori si tengono in aule apposite, dotate di microscopi, attrezzatura chimica o in sala settoria, dal terzo anno invece, iniziamo la pratica in ospedale. Inoltre, ogni estate abbiamo l’obbligo di trascorrere almeno un mese in ospedale, imparando a muoverci e a comportarci adeguatamente nei vari reparti, svolgendo attività che spaziano dal controllare i letti al proporre diagnosi.

Siamo caldamente invitati a partecipare ai congressi che si svolgono nella nostra università o in quelle vicine, e ogni anno, nel mese di maggio, ci sono i giorni accademici dell’università, durante i quali noi studenti siamo invitati a presentare, in inglese, i nostri lavori a un pubblico internazionale.

Raccontaci la tua vita da studente nel college?

In Romania c’è l’obbligo di presenza, quindi la maggior parte dell’anno vivo qui. Oltre ad andare a lezione e in ospedale, vivo la classica vita da fuori-sede, fatta di spese, lavatrici e cucina. La grande differenza, che poi è una delle cose più belle, è che la mia è un’università multietnica. Solo nel mio anno, sono rappresentate almeno venti Nazioni diverse di quattro continenti. Questo si traduce nella possibilità di poter parlare almeno tre o quattro lingue e di conoscere cibi e culture diversissime dalla mia. Poi, grazie al calcio, ho stretto forti legami d’amicizia. Spesso organizziamo partite di calcetto e guardiamo insieme il football in tv.

Ovviamente, non è tutto rosa e fiori. Oltre al clima (freddissimo d’inverno e con grandi escursioni termiche d’estate) e la mancanza del cibo di casa, vivere in un Paese straniero comporta confrontarsi ogni giorno con lingua e abitudini diverse, e ogni problema quotidiano lo devo affrontare in una lingua che non è la mia, il che, almeno nei primi tempi, ne ingigantiva le proporzioni.

E invece la sanità rumena come funziona?

La sanità rumena è improntata su quella americana, con un sistema di assicurazioni. Nonostante la Romania non sia un Paese ricchissimo, (alcuni macchinari solo negli ultimi anni sono entrati in tutti gli ospedali), i medici e i professori con i quali mi confronto ogni giorno sono molto preparati. La loro età media è molto più bassa rispetto all’Italia: quasi la totalità dei professori di ruolo ha meno di 50 anni, e la maggior parte degli assistenti di laboratorio meno di 40. Di conseguenza, sono molto aperti alle nuove tecniche e tecnologie disponibili nei nostri confronti, sia nel ripetere più volte un concetto difficile, sia quando proponiamo loro qualcosa. Infatti, lo scorso anno un mio collega e io abbiamo avviato una ricerca, con l’aiuto del primario di ginecologia, i cui risultati preliminari abbiamo presentato ad un congresso internazionale a Budapest lo scorso dicembre.

Il tuo rapporto con le persone del posto e i tuoi pazienti, e le tue relazioni amicali.

Con la gente del posto abbiamo un buon rapporto, anche perché qui nell’Ovest della Romania è presente da anni una forte comunità italiana, con aziende a fabbriche. Questo si rispecchia anche nel rapporto con i pazienti, che quando visitiamo in reparto sono di solito molto disponibili, sia perché hanno l’opportunità di trascorrere in compagnia le ore di degenza, sia perché sono sempre incuriositi dal nostro accento strano, e vogliono sapere di dove siamo.

Ovviamente ho fatto amicizia sia con ragazzi rumeni che con i miei compagni di corso. Spesso, infatti, organizziamo cene italiane, polacche, ucraine, arabe per far conoscere agli altri culture e tradizioni dei nostri paesi d’origine. In cinque anni abbiamo condiviso tutto e affrontato le stesse difficoltà, le stesse avventure: questo ci ha permesso di stringere legami molto forti e spesso durante le vacanze siamo ospiti l’uno dell’altro.

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