Alfonso Chiacchio, campione paralimpico di sitting volley non era uno sportivo eppure ad oggi si allena con costanza con la sua squadra “Liberamente” tre volte alla settimana ottenendo risultati straordinari e riuscendo a portare a casa ori e medaglie.
La sua esperienza sportiva quando comincia?
La mia esperienza sportiva inizia nel 2015 con il sitting volley. Mai fatto sport prima dell’amputazione prima di essere, tra virgolette un ragazzo diversamente abile. Ho cominciato per provare poi invece con gli altri ragazzi ho capito il valore sociale dello sport. Quell’integrazione che mi mancava e attraverso lo sport ho trovato la forza di uscire da altre problematiche come quella legata alle protesi che non riuscivo a mettere.
Con la squadra “Liberamente” il campione Alfonso Chiacchio è impegnato sia in ambito nazionale che internazionale, campionati regionali e nazionali. E per le ragazze del sitting volley, ci dice Chiacchio, è arrivata anche la qualificazione ai mondiali Tokyo 2020.
Il confronto con l’Europa è significativo, l’Europa si regge su un’idea maggiormente inclusiva della disabilità e godono di un’organizzazione più efficiente.
“Ma noi diamo tantissimo e vinciamo”
Lo sport – ci racconta Chiacchio– mi aiuta a completare una visione della salute e della convivenza serena con gli altri.
Fondamentale è il rispetto dell’altro, continua Chiacchio, e la necessità di riconoscere l’altro sia come avversario sia come compagno, è un valore per me importantissimo.
Lo sport allora come progetto sociale
Cerchiamo di “fare squadra” che non significa soltanto giocare insieme. Il progetto è indirizzato soprattutto alle fasce più giovani che saranno il nostro futuro.
Lei ha scelto uno sport di squadra…
Si lo preferisco. Parlo da diversamente abile, ci sono una serie di problematiche che si legano necessariamente alla mia condizione e credo nel valore della collettività come fondamentale per affrontarle nel modo migliore. Da solo non riesci ad emergere, sono vuoti che non sono volontari, il distacco dal mondo normodotato è molto forte e c’è bisogno di una forza grande per affrontarlo.
C’è un’ultima cosa che mi preme dire e che non si riferisce allo sport. Credo fortemente che la società debba attivarsi, perché si realizzi veramente una società inclusiva, sul fronte degli ostacoli architettonici, le “barriere”. Per un diversamente abile è quasi impossibile essere autonomi. Io cerco di fare qualcosa ad Aversa, il mio comune di appartenenza però la strada è veramente lunga soprattutto se ci confrontiamo con l’Europa. Credo che i servizi per i diversamente abili rappresentino il “termometro” di una società sana, una società veramente di tutti.