“Hikikomori” è un termine giapponese che in italiano si può tradurre come “ritirati sociali” e che indica la tendenza, nei giovani e/o giovanissimi, di smettere di uscire di casa, di frequentare scuola e amici, per chiudersi nelle proprie stanze e limitare al minimo i rapporti con l’esterno, mantenendo i contatti prevalentemente attraverso Internet.
Negli ultimi 10 anni l’Associazione Gruppo Abele Onlus di Torino ha assistito all’aumento di richieste di aiuto dal suo Servizio di Accoglienza.
Allarme Hikikomori per i genitori testimoni di situazioni emotive e sociali dei figli che definiscono di “dipendenza da internet”, ma spesso si tratta di una condizione male interpretata, come causa scatenante dell’autoisolamento, e/o di abbandono scolastico, che il più delle volte possono essere ricondotte a comportamenti di condotta di ritiro sociale.
Fra le cause dell’isolamento, assume un peso determinante il senso di inadeguatezza rispetto ai compagni: “L’aver subito episodi di bullismo, contrariamente a quanto si possa ritenere, non è fra le ragioni più frequenti della scelta. Mentre si evince una fatica diffusa nei rapporti coi coetanei, caratterizzati da frustrazione e autosvalutazione”, aggiunge Sonia Cerrai (Cnr-Ifc).
“Un altro dato parzialmente sorprendente riguarda la reazione delle famiglie: più di un intervistato su 4, fra coloro che si definiscono ritirati, dichiara infatti che i genitori avrebbero accettato la cosa apparentemente senza porsi domande”.
Trattandosi di un fenomeno giovanile in aumento l’Associazione ha avviato nel giugno 2020 un progetto, “Nove ¾”, che cerca di rispondere concretamente alle famiglie che non riescono a trovare risposte alla chiusura e all’isolamento dei loro figli.
Ecco allora che il Gruppo Abele in collaborazione con l’Università della Strada ha promosso una ricerca (Leggi qui il report che ha preso le mosse dallo studio ESPAD®Italia (European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs, condotto annualmente dal Cnr-Ifc rispetto al consumo di sostanze psicoattive), coinvolgendo un campione di oltre 12.000 studenti rappresentativo della popolazione studentesca italiana fra i 15 e i 19 anni.
Le interviste svolte hanno riguardato i ragazzi servendosi di un apposito set di domande volte a intercettare sia i comportamenti che la percezione delle loro cause.
“Il 2,1% del campione attribuisce a sé stesso la definizione di Hikikomori: proiettando il dato sulla popolazione studentesca 15-19enne a livello nazionale, si può quindi stimare che circa 54.000 studenti italiani di scuola superiore si identifichino in una situazione di ritiro sociale”, afferma Sabrina Molinaro, ricercatrice del CnrIfc.
Il dato preoccupa la comunità italiana, e se il 18,7% degli intervistati afferma di non essere uscito per un tempo significativo, ancora per l’8,2% del campione il tempo quantificato varia da 1 a 6 mesi e oltre.
Oltre 6 mesi di chiusura rappresenta la condizione grave.
Secondo quanto stimato dalle proiezioni circa l’1,7% degli studenti totali (44.000 ragazzi a livello nazionale) che si possono definire Hikikomori, mentre il 2,6% (67.000 giovani) sarebbero a rischio grave di diventarlo.
Le differenze di genere si rivelano nella percezione del ritiro – i maschi sono la maggioranza fra i ritirati effettivi, ma le femmine si attribuiscono più facilmente la definizione di Hikikomori – così come nell’utilizzo del tempo, con le ragazze più propense al sonno, alla lettura e alla tv, mentre i ragazzi al gaming online.
Il disturbo da Hikikomori si estende alla scuola e all’individuazione da parte di dirigenti scolastici e personale docente, di casi e di possibili interventi.
“Il progetto Nove ¾ – vincitore di un premio dell’Accademia dei Lincei che ha finanziato anche lo studio in oggetto – si è fatto finora carico di una quarantina fra ragazzi e ragazze le cui famiglie non trovavano risposta alla chiusura e all’isolamento dei loro figli.
Per loro si è attivato un affiancamento a domicilio, con la possibilità di frequentare un centro laboratoriale dedicato, dove si svolgono attività individuali o in piccolo gruppo con “maestri di mestiere” a partire dagli interessi espressi dai ragazzi.
Ai genitori è offerto, in parallelo, un sostegno psicologico volto ad acquisire maggiori strumenti per gestire le difficoltà dei figli.
Una prima sperimentazione, in rete con il sistema scolastico e i servizi socio-sanitari, per tentare di accompagnare i ragazzi isolati dal mondo a un diverso progetto di vita” spiega la responsabile del progetto Milena Primavera.
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