Scoperto un Gene Chiave che Svela il Ruolo delle Mutazioni Rare
L’Alzheimer rappresenta una delle sfide mediche più complesse del nostro tempo, con milioni di persone affette in tutto il mondo e un impatto devastante sulla qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie. Nonostante decenni di ricerche, le cause alla base di questa patologia neurodegenerativa restano in parte avvolte nel mistero. Tuttavia, la recente scoperta di un team di scienziati italiani potrebbe segnare una svolta decisiva nella comprensione dei meccanismi genetici che scatenano questa malattia.
Una scoperta di portata globale, pubblicata sulla prestigiosa rivista Alzheimer’s Research & Therapy, getta nuova luce sulle origini genetiche dell’Alzheimer, puntando i riflettori sul gene Grin2C. Questo risultato è frutto di anni di ricerca, portata avanti da un’équipe coordinata dall’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino, con la collaborazione di esperti di diverse università italiane.
Il gene Grin2C e il ruolo del glutammato nella neurodegenerazione
La ricerca, guidata dalla dottoressa Elisa Rubino, ha analizzato i casi di Alzheimer senile in una famiglia italiana, individuando rare mutazioni nel gene Grin2C. Questo gene codifica una subunità del recettore Nmda del glutammato, una proteina cruciale per la trasmissione dei segnali tra neuroni. Utilizzando avanzate tecniche di genetica molecolare, i ricercatori hanno dimostrato che la mutazione provoca un aumento dell’eccitabilità neuronale e altera l’interazione della proteina con altre strutture cellulari.
Il professor Innocenzo Rainero, direttore del Centro Alzheimer delle Molinette, ha sottolineato che questa scoperta amplia la comprensione delle cause genetiche della malattia, aggiungendo Grin2C a una lista che finora includeva i geni Psen1, Psen2 e App, associati principalmente all’Alzheimer precoce. Sebbene il contributo delle mutazioni di Grin2C sia molto raro, il vero impatto della ricerca risiede nella conferma dell’importanza dell’eccitotossicità da glutammato come fattore scatenante della neurodegenerazione.
Quando il glutammato si lega al recettore Nmda, si attiva un canale che consente l’ingresso di ioni calcio nelle cellule. Se questo processo si intensifica oltre una soglia critica, si genera una sovrastimolazione del neurone, culminando nella morte cellulare.
Un legame tra disturbi dell’umore e Alzheimer
Oltre alla neurodegenerazione, i ricercatori hanno evidenziato un aspetto clinico significativo: i portatori della mutazione Grin2C mostrano per anni un disturbo dell’umore di tipo depressivo, prima della comparsa dei deficit cognitivi. Questo dato apre nuove prospettive sia per la diagnosi precoce sia per lo sviluppo di terapie mirate.
Il team sottolinea la necessità di sviluppare farmaci capaci di modulare l’eccitotossicità cerebrale, riducendo gli effetti nocivi del glutammato sui neuroni e rallentando la progressione della malattia.
Collaborazioni e impatti futuri
Lo studio si è avvalso della collaborazione di istituzioni di eccellenza, tra cui l’Università di Pavia, l’Università di Torino e l’Università di Milano. Questa sinergia rappresenta un esempio virtuoso di come la ricerca italiana possa competere a livello internazionale.
L’assessore alla Sanità della Regione Piemonte, Federico Riboldi, ha celebrato questa scoperta come una dimostrazione delle straordinarie capacità della sanità piemontese di coniugare assistenza e ricerca, mentre la Direzione aziendale della Città della Salute ha sottolineato il potenziale rivoluzionario della scoperta per le terapie future.
Alzheimer: una lotta che coinvolge tutti
L’Alzheimer rimane una delle principali cause di deficit cognitivi e un problema sanitario globale. Questa nuova scoperta non solo amplia le conoscenze sulla genetica della malattia, ma offre nuove speranze per migliorare la qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie.
Ogni passo avanti nella ricerca rappresenta un tassello verso un futuro in cui l’Alzheimer potrà essere combattuto con strumenti sempre più precisi ed efficaci. La strada è ancora lunga, ma scoperte come questa accendono una luce di speranza nella lotta contro una delle più grandi sfide mediche del nostro tempo.