Nel panorama del cinema contemporaneo, pochi registi osano con la stessa ambizione di Brady Corbet. Con The Brutalist, candidato a dieci Premi Oscar, Corbet firma un’opera monumentale, un viaggio intimo e doloroso che fonde la biografia di un architetto con la storia del XX secolo. Un film che non solo racconta la vita di László Tóth, ma scava nelle pieghe della memoria collettiva attraverso l’estetica brutalista, trasformando il cemento in un simbolo di resilienza, lutto e speranza.
Trama
The Brutalist segue la vita di László Tóth, un architetto ebreo ungherese che sopravvive all’Olocausto e cerca di ricostruire la propria esistenza in America. La narrazione inizia negli anni ’40, con la fuga di László ed Erzsébet dall’Europa devastata dalla guerra, mostrando il loro arrivo negli Stati Uniti con il sogno di un futuro migliore. Tuttavia, la realtà si rivela più dura del previsto: emarginazione, difficoltà economiche e il rifiuto delle sue idee innovative da parte dell’establishment architettonico lo spingono ai margini della società.
Quando la potente famiglia Van Buren gli offre la possibilità di realizzare la sua visione architettonica, László crede finalmente di aver trovato il suo posto nel mondo. Ma dietro l’apparente generosità di Harrison Lee Van Buren si nasconde un rapporto di potere ambiguo e inquietante, che lo trascinerà in una spirale di compromessi e sofferenza. La storia si sviluppa lungo decenni, raccontando la lotta di László per affermarsi in un mondo ostile, il legame con Erzsébet messo alla prova da continue tensioni, e il ruolo dell’architettura come mezzo per elaborare il passato e imprimere un segno nel futuro.
Un racconto epico tra arte e sopravvivenza
La narrazione, divisa in tre atti, segue il percorso di László nel suo tentativo di ricostruire la propria esistenza negli Stati Uniti. Dapprima respinto, poi accolto come genio innovatore dalla famiglia Van Buren, il protagonista lotta per realizzare un’opera che possa rappresentare il suo vissuto e la sua visione. Il film si sviluppa come una lenta costruzione, con ogni evento che aggiunge un mattone alla sua personalità tormentata. L’intreccio tra la sua carriera, il rapporto con la moglie Erzsébet e la spietata influenza di Harrison Lee Van Buren culmina in un climax tragico e catartico.
Un cast in stato di grazia
Adrien Brody incarna magistralmente László, restituendo una performance stratificata e intensamente emotiva che gli vale la candidatura all’Oscar. Felicity Jones, nei panni della fragile ma combattiva Erzsébet, aggiunge ulteriore profondità al dramma familiare. Notevole anche Guy Pearce, che offre un ritratto disturbante di Harrison, personaggio tanto carismatico quanto inquietante, capace di incarnare il privilegio e la crudeltà del potere. La regia di Corbet, metodica e meticolosa, permette a ogni attore di brillare, costruendo personaggi complessi e memorabili.
Architettura e identità: il brutalismo come metafora
Uno degli aspetti più straordinari del film è la sua estetica. La scenografia di Judy Becker e Patricia Cuccia non si limita a fare da sfondo, ma diventa essa stessa un elemento narrativo. L’Istituto Van Buren, con la sua struttura di cemento grezzo e la sua pianta ispirata ai campi di concentramento, rappresenta il tentativo di László di esorcizzare il trauma attraverso l’arte. Il contrasto tra il minimalismo estetico e il peso emotivo del racconto crea un effetto di straniamento e riflessione, rafforzato dalla fotografia di Lol Crawley, che esalta la geometria fredda e imponente delle costruzioni.
Una colonna sonora sperimentale e immersiva
La musica di Daniel Blumberg, candidata all’Oscar, contribuisce a rendere The Brutalist un’esperienza sensoriale unica. L’uso di ottoni e strumenti d’epoca richiama il suono dei cantieri, creando un’atmosfera che oscilla tra il monumentale e l’intimo. La traccia finale, Epilogue (Venice), con l’uso del sintetizzatore di Vince Clarke, segna un passaggio stilistico che sottolinea la trasformazione del protagonista e il riconoscimento postumo della sua opera.
Un’opera destinata a lasciare il segno
Pur non essendo un film per tutti, The Brutalist rappresenta un esempio straordinario di cinema d’autore. La sua durata di oltre tre ore e la sua narrazione non lineare possono risultare impegnative, ma chi accetterà la sfida sarà ricompensato con un’esperienza cinematografica di rara intensità. Con una regia coraggiosa, un cast eccezionale e una messa in scena che fonde architettura e psiche, Brady Corbet firma un’opera che rimarrà scolpita nella memoria come il cemento delle costruzioni del suo protagonista. Un film che non solo racconta una storia, ma la incide nella pietra della settima arte.