Un test che può salvare vite e ridurre spese sanitarie: i test genomici come Oncotype DX aprono nuove prospettive nella lotta al tumore al seno. Ma perché non sono ancora accessibili a tutte?
L’introduzione della genomica nella gestione del tumore al seno in fase iniziale rappresenta una delle rivoluzioni più promettenti degli ultimi anni. In particolare, per le donne con carcinoma mammario ormonoresponsivo (HR+) e HER2 negativo, l’uso dei test genomici consente non solo di personalizzare la terapia ma anche di evitare trattamenti inutili, come la chemioterapia, laddove non necessari. A guadagnarne non è solo la salute delle pazienti, ma anche il sistema sanitario nazionale e la società nel suo complesso.
Una recente ricerca condotta da Altems (Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica di Roma) ha analizzato per la prima volta l’impatto economico del test genomico Oncotype DX. I risultati parlano chiaro: l’utilizzo del test ha permesso una riduzione dei costi sanitari e sociali da oltre 2.100 a 900 euro per paziente, con un risparmio complessivo di circa 30 milioni di euro. (Fonte: Altems, Università Cattolica)
Il test che dice “chemioterapia sì o no”
Il principio su cui si basa l’Oncotype DX è semplice ma potentissimo: analizzare l’attività di 21 geni per capire quanto sia aggressivo il tumore e, di conseguenza, quanto sia utile – o inutile – sottoporre la paziente alla chemioterapia dopo l’intervento chirurgico.
Secondo Francesco Cognetti, presidente di FOCE (Confederazione degli Oncologi, Cardiologi ed Ematologi), questi test dovrebbero essere rapidamente inseriti nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e resi disponibili per tutte le donne che ne hanno bisogno. Parliamo di circa 13.000 pazienti ogni anno in Italia. Eppure, molte di loro non ricevono questo esame all’inizio del percorso terapeutico, perdendo così un’occasione preziosa per evitare trattamenti debilitanti e non necessari.
Nonostante la validità scientifica del test, una parte consistente delle pazienti europee riferisce di non essere stata nemmeno informata dell’esistenza di tali strumenti. Un vuoto di comunicazione che grida vendetta, se si considera che il cancro al seno è la forma tumorale più diffusa nel nostro Paese, con oltre 53.600 nuovi casi registrati solo nel 2023. Di questi, circa il 70% rientra nel sottotipo HR+/HER2-, il bersaglio ideale per i test genomici. (Fonte: FOCE)
Personalizzazione significa prevenzione degli effetti collaterali
Oltre al risparmio economico e alla precisione terapeutica, i test genomici offrono un vantaggio spesso sottovalutato: la protezione della qualità della vita, soprattutto per le donne più giovani. “La chemioterapia può avere effetti collaterali pesanti, tra cui la compromissione della fertilità – sottolinea il professor Fabio Puglisi dell’IRCCS di Aviano –. Se possiamo evitarla senza compromettere l’efficacia del trattamento, è nostro dovere farlo”.
La medicina di precisione, quindi, non è solo una questione scientifica, ma anche etica. Valutare con attenzione i fattori biologici e l’espressione dei recettori ormonali consente di delineare un percorso terapeutico su misura, con effetti positivi anche dal punto di vista psicologico.
Chirurgia conservativa e genomica: il futuro è adesso
La genomica sta cambiando anche il modo in cui si affronta la chirurgia. “Nel tumore al seno in fase precoce, oggi si opta sempre più per interventi conservativi – spiega il professor Riccardo Masetti del Policlinico Gemelli –. Grazie a test come Oncotype DX, possiamo anticipare le scelte terapeutiche e accorciare i tempi per la terapia adiuvante, con un impatto significativo sul benessere psicofisico della donna”.
E se si potesse fare il test prima dell’intervento chirurgico? Alcuni studi suggeriscono che sia possibile, aprendo la strada a un’ulteriore personalizzazione della cura e a decisioni cliniche più rapide ed efficaci.
Le Breast Unit: l’importanza dell’approccio multidisciplinare
Perché questo approccio funzioni davvero, però, servono strutture adeguate. Le Breast Unit sono centri specializzati nella cura del tumore al seno, dove un team multidisciplinare accompagna la paziente in ogni fase del percorso: radiologo, patologo, chirurgo senologo, oncologo, infermieri specializzati e tecnici collaborano per una cura integrata e di qualità.
Secondo Rosanna D’Antona, presidente di Europa Donna Italia, è essenziale che queste strutture rispettino gli standard previsti dalle linee guida nazionali. E, soprattutto, che includano i test genomici tra le prestazioni disponibili. “Senza accesso uniforme a questi strumenti, l’equità delle cure resta un miraggio”, sottolinea D’Antona.
Una sfida sanitaria ed economica da non perdere
Il cancro al seno coinvolge ogni anno più di 2,3 milioni di donne nel mondo, e in Italia sono oltre 900.000 le persone che convivono con la malattia. Numeri imponenti che rendono sempre più urgente un cambio di passo. La sfida non è solo sanitaria, ma anche sociale ed economica.
Utilizzare strumenti come Oncotype DX consente di gestire in modo più intelligente le risorse del sistema sanitario nazionale. Evitare chemioterapie inutili significa ridurre le spese per farmaci, giornate di degenza, assenze dal lavoro e supporto psicologico.
Eppure, per quanto vantaggiosi, questi strumenti non sono ancora garantiti a tutte. I motivi? Disparità regionali, ritardi normativi, mancanza di informazione. Una situazione paradossale, che rischia di lasciare indietro migliaia di pazienti ogni anno.
Il tempo dell’attesa è finito
L’efficacia dei test genomici è dimostrata. Il loro valore clinico, economico e umano è sotto gli occhi di tutti. E allora, cosa aspettiamo? È il momento che la genomica entri stabilmente nella pratica clinica, che sia riconosciuta nei LEA e resa accessibile su tutto il territorio nazionale. Perché ogni donna ha diritto alla migliore cura possibile, senza compromessi, senza ritardi, senza discriminazioni.