Una notizia allarmante scuote il mondo della sanità: il tumore al colon non è più una malattia che riguarda solo la terza età. L’incidenza tra i giovani e giovanissimi è in preoccupante aumento, con picchi che raggiungono un sbalorditivo +500% tra gli adolescenti! Il dito è puntato, senza esitazione, verso i nostri stili di vita e una scorretta alimentazione, fattori che, sebbene critici, rappresentano anche la nostra più grande opportunità di intervento.
A lanciare un appello accorato, soprattutto alle nuove generazioni, è il professor Roberto Persiani, responsabile dell’Unità di Chirurgia Oncologica mini-Invasiva presso il Policlinico Universitario Gemelli di Roma e presidente dell’associazione EuropaColon Italia. La sua analisi è chiara e diretta: la prevenzione passa, inevitabilmente, attraverso scelte consapevoli e la conoscenza dei segnali d’allarme.
Ogni anno in Italia, sottolinea il professor Persiani, si registrano circa 50 mila nuovi casi di tumore al colon, e un preoccupante 10% riguarda persone sotto i 50 anni, inclusi giovani e giovanissimi. “Si sta infatti assistendo ad un grandissimo aumento di casi tra i giovani, e temiamo che il trend aumenterà,” avverte con preoccupazione. La gravità della situazione è tale che la campagna europea per il mese della prevenzione del tumore al colon retto, a marzo, è stata interamente dedicata alla fascia under-50. Ma l’ombra si allunga ulteriormente: si osserva un aumento di incidenza e mortalità anche tra gli under-35.
I numeri, pur non essendo ancora disponibili in termini assoluti a livello europeo, sono eloquenti: negli ultimi 20 anni si parla di un incremento del 500% tra i giovanissimi in età adolescenziale e del 300% tra i giovani tra i 20 e i 30 anni rispetto al passato. In Italia, si stimano circa un migliaio di tumori giovanili all’anno.
Di fronte a questa escalation, il professor Persiani lancia un monito fondamentale ai giovani: non bisogna assolutamente sottovalutare alcuni campanelli d’allarme. “Bisogna fare attenzione a particolari sintomi,” spiega l’esperto, elencando quattro segnali cruciali che non vanno ignorati:
- Un’anemia che non si spiega in altra maniera: Una stanchezza persistente e una carenza di ferro senza una causa apparente possono essere un segnale da non trascurare.
- Una perdita di peso involontaria: Perdere peso senza aver cambiato la propria dieta o routine di esercizio fisico deve destare sospetti.
- Mal di pancia ricorrenti non spiegabili: Dolori addominali persistenti o insoliti richiedono un’indagine medica approfondita.
- La perdita di sangue quando si va in bagno: Sanguinamento rettale, anche se occasionale, è un sintomo che non va mai sottovalutato.
“Questi sono 4 campanelli d’allarme che nei giovanissimi devono essere presi sul serio e non sottovalutati,” insiste il professor Persiani. “E’ bene rivolgersi subito al medico di famiglia e non fare autodiagnosi superficiali.” La tempestività nella diagnosi può fare una differenza cruciale nell’esito della malattia.
Ma quali sono le cause di questo preoccupante aumento di casi tra i giovani? Il professor Persiani individua una prima spiegazione di carattere “sociale”: “A 25-30 anni non si pensa di avere una malattia, si pensa di essere invincibili e quindi anche di fronte a sintomi e campanelli d’allarme si tende a sottovalutare ed essere distratti, e questo a volte anche da parte dei medici.” Questa percezione di invincibilità tipica della giovinezza può portare a ritardi nella ricerca di aiuto medico.
Tuttavia, la causa principale affonda le radici in un fattore di rischio importantissimo, ma fortunatamente modificabile: la dieta e l’alimentazione. “Sono infatti fattori di rischio determinanti l’obesità e il sovrappeso, cui si associa la scarsa attività fisica,” chiarisce l’esperto. Le abitudini alimentari moderne, spesso caratterizzate da un eccessivo consumo di cibi processati, grassi saturi e zuccheri, unite a uno stile di vita sedentario, creano un terreno fertile per lo sviluppo di questa patologia anche in età precoce.
Un ruolo non trascurabile è giocato anche dagli zuccheri nel sangue e dall’alcol. “Si è visto ad esempio che nell’Europa centrale e del nord l’uso di superalcolici è associato ad un aumento di incidenza e mortalità per cancro al colon,” spiega il professor Persiani, citando esempi di campagne di riduzione del consumo di alcolici che hanno portato a una flessione dei casi. “Ma questi sono tutti fattori modificabili: posso cioè decidere di non bere, di non fumare, di non avere una dieta ricca di zuccheri, perchè certi fattori negativi cominciano a far danno da subito.”
Accanto ai fattori legati allo stile di vita, non va dimenticata la familiarità. In circa un terzo dei casi di tumore al colon diagnosticati prima dei 50 anni, si riscontra una storia familiare di questa malattia o la presenza di mutazioni genetiche predisponenti. “Quindi, a chi sviluppa la malattia prima dei 50 anni, è assolutamente consigliato fare il test genetico, perchè questo ha delle implicazioni ai fini della terapia ma anche per la sorveglianza dei familiari,” avverte il professor Persiani. “Quando si parla di giovani, bisogna cioè sempre indagare la storia familiare per individuare una possibile componente genetica.”
Ma quali sono le armi a nostra disposizione per contrastare questa preoccupante tendenza? La risposta è chiara: la prevenzione. Il professor Persiani distingue tra prevenzione primaria, che mira a ridurre l’incidenza della malattia, e prevenzione secondaria, focalizzata sulla diagnosi precoce.
Per quanto riguarda la prevenzione primaria, il focus è sugli stili di vita sani, a partire da una dieta ricca di fibre, frutta e verdura. “Perchè il cibo è il farmaco più potente che abbiamo a disposizione, come diceva Ippocrate,” ricorda il professore. Le linee guida raccomandano di non superare i 500 grammi di carne rossa a settimana, ma un’alimentazione bilanciata, ricca di alimenti protettivi, può fare la differenza. A questo si aggiunge l’importanza dell’attività fisica regolare, un vero toccasana per la salute generale e un fattore protettivo contro diverse patologie, incluso il tumore al colon.
La prevenzione secondaria si basa invece sui test di screening. Per il tumore al colon, il test di primo livello è il test del sangue occulto nelle feci, che rileva tracce minime di sangue potenzialmente indicative della presenza di polipi o di un tumore in fase iniziale. “Questo screening ha senso proprio quando non ci sono sintomi, perchè spesso i sintomi indicano una malattia già in stadio avanzato,” precisa il professor Persiani. “Quindi la potenza dello screening è proprio questa: intercettare la malattia quando non ha ancora dato segno di sè.”
Un aspetto cruciale da sottolineare è la peculiarità del tumore al colon: nell’80-90% dei casi ha un precursore benigno, il polipo, che impiega in media dai 5 ai 10 anni per trasformarsi in tumore maligno. “Dunque, grazie allo screening il tumore al colon diventa una malattia che teoricamente può essere sconfitta, perchè se si identificano i polipi quando sono ancora benigni, faccio in modo che il tumore non insorga.”
Attualmente, lo screening con il test del sangue occulto è raccomandato in Italia nella fascia d’età compresa tra i 50 e i 74 (o 69) anni, a seconda delle delibere regionali. Tuttavia, negli Stati Uniti, dove l’obesità è un problema dilagante e un terzo dei pazienti con tumore al colon ha meno di 50 anni, lo screening è già stato anticipato a 45 anni.
“L’appello è anticiparlo anche da noi almeno dai 45 anni,” è il messaggio chiaro del professor Persiani. Questa proposta si scontra con problematiche organizzative ed economiche, nonostante l’adesione agli screening in Italia sia ancora troppo bassa, nonostante la comprovata capacità di questi esami di ridurre la mortalità del 30%.
La colonscopia, invece, è un esame di secondo livello, da effettuare in caso di positività al test del sangue occulto o in presenza di una forte familiarità per la malattia, nel qual caso può essere indicata come primo esame.
In conclusione, il professor Persiani lancia un messaggio di speranza e responsabilità: “Nel caso dei giovani agire in primis sugli stili di vita resta il passaggio cruciale, perchè dipendono da noi e modificarli correttamente può davvero fare la differenza rispetto al rischio di insorgenza di questa neoplasia.” La consapevolezza, la prevenzione e l’attenzione ai segnali del nostro corpo sono le nostre armi più potenti per contrastare questa crescente minaccia. Non sottovalutiamole.