Per decenni, il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD) è stato confinato in un recinto diagnostico dominato dalla neurobiologia e dalla genetica. L’immagine che ne emerge è quella di un disordine del hardware: un cervello che fatica a inibire, a pianificare, a regolare l’attenzione. Il bambino con ADHD è definito dai suoi sintomi osservabili: l’irrequietezza motoria, la difficoltà a completare un compito, l’impulsività spesso frustrante per gli adulti che lo circondano.
Le Linee guida internazionali e il celebre DSM-5, pur essendo strumenti indispensabili per l’identificazione clinica, rischiano per loro natura di fermarsi alla superficie, all’elenco dei comportamenti problematici. Ma se l’iperattività e la disattenzione non fossero il problema, bensì il disperato tentativo di risolverne un altro, più profondo, celato nel mondo interno del bambino?
La prospettiva psicoanalitica, come sottolineano Roberta Bernetti e Marianna Lembo nel Dizionario AIPPI per Genitori, propone un radicale cambio di lente. Non si tratta di correggere un “difetto”, ma di decifrare un linguaggio. Dietro la diagnosi si cela un individuo unico, una storia emotiva, un groviglio di affetti e paure che non hanno trovato altra via di espressione che il corpo e il movimento. In quest’ottica, il sintomo è un messaggio che chiede di essere ascoltato.
L’Iperattività: Una Corazza in Movimento
L’iperattività, in questa visione, perde la sua connotazione di mero “eccesso motorio” e acquista un significato di sopravvivenza psichica. Non è un corpo che si muove a caso, ma un corpo che si muove per non sentire.
Il bambino, spiegano le autrici, sperimenta spesso un eccesso di emozioni – rabbia, ansia, tristezza – che per la sua età e il suo sviluppo emotivo sono difficili da pensare, nominare o esprimere. Quando non c’è un contenitore emotivo adulto che possa “dare un nome” a quel caos interiore, l’emozione non può essere elaborata e, letteralmente, rimane intrappolata nel corpo.
Il movimento incessante, la corsa, l’azione impulsiva, diventano allora meccanismi di scarica. Sono un tentativo di svuotarsi da una tensione insopportabile, una valvola di sfogo per stati interni che altrimenti lo travolgerebbero. Il bambino iperattivo non è “fuori controllo” per scelta, ma agisce così perché si sta inconsciamente proteggendo da emozioni che lo spaventano e lo confondono. L’azione è immediata, la riflessione no. E l’obiettivo primario è non dover mai sostare in quel luogo interno dove risiede l’angoscia.
Il Bambino Portavoce: Tensioni e Segreti Familiari
La psicoanalisi riporta il focus sul contesto, sottolineando che l’individuo non è mai isolato. Se l’emozione è un fenomeno relazionale, l’iperattività e la disattenzione del bambino sono spesso il portavoce inconscio delle dinamiche non dette o irrisolte della sua famiglia.
Quando l’ambiente in cui il bambino vive è saturo di ansia, stress o conflitti familiari non verbalizzati, gli adulti faticano a offrire quella base emotiva calma e contenitiva di cui il bambino ha disperatamente bisogno. Differenze inconciliabili tra i genitori, lutti non elaborati o tensioni croniche possono trasformare il sintomo del bambino in un vero e proprio campo di battaglia relazionale.
Il corpo del bambino, il suo incessante agitarsi e il suo non riuscire a concentrarsi, diventano la traduzione fisica del caos emotivo circostante. È come se il bambino “dovesse muoversi” per conto della sua famiglia, esprimendo una tensione che gli adulti non hanno il coraggio o la capacità di riconoscere e verbalizzare tra loro.
Quando gli adulti riescono a formare un’alleanza, a sostenersi reciprocamente e a gestire le proprie ansie, il bambino si trova in un contesto più stabile. La sicurezza emotiva che ne deriva è il primo, fondamentale farmaco per l’iperattività, perché riduce la necessità di usare il corpo come unico strumento di comunicazione e difesa.
Il Senso del Tempo: L’Attesa come Fiducia
Un altro elemento centrale nell’ADHD è la difficoltà a tollerare la frustrazione e ad attendere. L’impulsività, il bisogno di ottenere subito la gratificazione, viene letto in termini psicoanalitici come una forma di onnipotenza infantile non sufficientemente modulata.
Il bambino, in questa fase di sviluppo, non riesce a passare dal desiderio al pensiero che precede l’azione. Non fidandosi ancora pienamente del legame (che lo rassicuri sul fatto che la gratificazione arriverà), egli esige il soddisfacimento immediato.
Il compito dell’adulto, lungi dall’essere punitivo, è offrire contenimento e continuità. Porre limiti chiari, ma affettuosi, non significa reprimere, ma insegnare la capacità di attendere. Questa attesa, lungi dall’essere una punizione, costruisce due elementi essenziali per la salute psichica:
- Il Senso del Tempo: L’attesa insegna che non tutto è subito, strutturando la percezione temporale.
- La Fiducia nel Legame: L’attesa rassicura il bambino che l’adulto è lì, solido e affidabile. Questo rafforza la fiducia fondamentale nel legame e lo aiuta a internalizzare la capacità di autosostenersi.
Il Gioco e la Parola: Il Viaggio Trasformativo
In una società che riempie le giornate dei bambini con attività organizzate e strutturate, si perde un elemento cruciale per la crescita psichica: il gioco libero.
Il gioco spontaneo è la palestra emotiva per eccellenza: è il luogo in cui il bambino, attraverso l’azione simbolica (una bambola arrabbiata, un supereroe spaventato), può elaborare le proprie emozioni e i propri conflitti interiori. La mancanza di questo spazio simbolico costringe il bambino a un’elaborazione concreta, ovvero, all’azione fisica del sintomo.
Qui si inserisce la psicoterapia psicoanalitica dell’infanzia. Il terapeuta offre uno spazio in cui l’iperattività, la distrazione e l’impulsività non vengono represse, ma accolte. Attraverso il gioco e la relazione transferale, il sintomo può finalmente trasformarsi in parola. Il bambino impara gradualmente a:
- Riconoscere: “Sono arrabbiato”, invece di “sbatto la porta”.
- Pensare: “Mi sento triste perché è successo questo”, invece di “corro senza meta”.
- Modulare: Gestire l’intensità della rabbia o della paura senza esserne sopraffatto.
L’obiettivo ultimo è sostenere la sua capacità di collegare gli stati interni agli eventi vissuti, creando un senso di sé coerente e meno frammentato.
L’Alleanza Terapeutica: Liberare la Famiglia dal Senso di Colpa
Infine, la prospettiva psicoanalitica riconosce l’importanza vitale del lavoro con i genitori, che troppo spesso vivono il sintomo del figlio con un profondo senso di colpa e fallimento.
Offrire agli adulti uno spazio di riflessione e di holding emotivo aiuta a:
- Comprendere: Dare significato a comportamenti che appaiono solo distruttivi o oppositivi.
- Ridurre l’Ansia: L’ansia dei genitori è contagiosa per il bambino; riducendola, si abbassa la pressione sull’intero sistema familiare.
- Trasformare: Quando la famiglia riesce a trasformare la fatica in comprensione, il sintomo del bambino perde la sua funzione difensiva.
La psicoanalisi, in conclusione, non si pone come alternativa distruttiva alle diagnosi neurobiologiche, ma come una loro integrazione necessaria e profondamente umana. Ci ricorda che, al di là dei circuiti neuronali, ogni comportamento difficile è una richiesta di aiuto, un codice cifrato inviato dall’anima del bambino. Solo accogliendo questo linguaggio profondo, con ascolto e contenimento, possiamo accompagnare il bambino verso una crescita psicologica ed emotiva più armonica, liberandolo dall’obbligo di muoversi per non sentire. È la vittoria del significato sulla mera manifestazione.





