Insulti verbali, violenze psicologiche, turni massacranti che rubano il riposo e un’ostilità prolungata, spesso imposta da superiori e colleghi. Quella che era un tempo considerata solo una dinamica disfunzionale isolata, è oggi un vero e proprio allarme sociale che attraversa ogni settore lavorativo, dagli ospedali ai ministeri, dalle aziende private alle università. Quando il lavoro diventa un percorso a ostacoli, il corpo e la mente accusano il colpo, e il professionista si ammala.
È su questa dolorosa realtà che la giornalista Isabella Schiavone ha puntato i riflettori nella sua inchiesta, confluita nel libro ‘Lavoro tossico. Quando l’ambiente professionale avvelena’ (edito da Nutrimenti). Presentato a Roma all’Associazione Stampa Romana, il volume non è solo una raccolta di storie, ma una lucida denuncia sistemica che evidenzia la necessità di un cambiamento culturale e normativo urgente.
Un Allarme Sistemico e un Vuoto Normativo
Intervistata in occasione della presentazione, l’autrice non usa mezzi termini: “C’è un allarme sociale che non è ascoltato ed è sottovalutato. Esiste poi un problema sistemico, per questo ho deciso di scrivere questo libro che poi è diventato un’inchiesta.”
Il fenomeno del “lavoro tossico” coinvolge professionisti di ogni livello, vittime di mobbing (l’ostilità prolungata e sistematica del superiore o dei colleghi), di burnout (l’esaurimento emotivo, fisico e mentale) e di vero e proprio bullismo aziendale.
La gravità del fenomeno è confermata dai dati europei: lo stress legato al lavoro è la seconda malattia più diffusa in Europa, preceduta solo dai problemi posturali. Nonostante in Italia le leggi impongano al datore di lavoro di essere il principale responsabile della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro, con obblighi definiti come la valutazione dei rischi, Schiavone sottolinea come questo spesso rimanga “solo sulla carta”.
La lacuna più grave, secondo l’autrice, risiede nel vuoto normativo italiano, che rende difficile per le vittime ottenere riconoscimento e tutela. Il mobbing, per essere ufficialmente riconosciuto, richiede l’attesa di certificazioni da parte di strutture pubbliche che possono richiedere anche 10 mesi, un periodo estenuante per chi si trova già in uno stato di fragilità estrema.
Il Profilo delle Vittime e l’Incompetenza Medica
L’inchiesta getta luce anche sul profilo delle vittime. Il Dott. Nicola Magnavita, medico del lavoro intervistato nel libro, rivela un dato sorprendente e doloroso: le persone che si impegnano di più, quelle più dedicate e coscienziose, sono spesso le più colpite da mobbing o burnout. La loro alta dedizione le rende più vulnerabili all’esaurimento emotivo e all’attacco di dinamiche aziendali disfunzionali.
A complicare il quadro si aggiunge un problema di preparazione medica. Molti medici, come rivelato dall’inchiesta, “non sono in grado di riconoscere e affrontare il problema”. Di fronte a sintomi di esaurimento e stress da lavoro, invece di allontanare i pazienti dal contesto tossico, “suggeriscono il contrario citando magari i rischi per la carriera”. Questo atteggiamento non fa che isolare ulteriormente il lavoratore e aggravare la sua condizione psicofisica, lasciandolo intrappolato in un circolo vizioso di sofferenza e timore.
La Generazione Z e il Rifiuto della Tossicità
Schiavone dedica un capitolo significativo alla “Generazione Z”, i giovani che, a differenza dei loro genitori, stanno agendo da vero e proprio spartiacque culturale.
- La Priorità è la Salute Mentale: “È la prima che rifiuta questa tossicità, preferisce lavorare meno e vivere meglio,” spiega l’autrice. Questa generazione, un tempo additata come quella dei “bamboccioni”, ha dimostrato di aver compreso una verità fondamentale: la salute mentale viene prima di ogni cosa.
- L’Effetto Smartworking: L’emergenza Covid-19 e l’introduzione dello smartworking hanno giocato un ruolo cruciale, permettendo ai lavoratori di sperimentare la possibilità di stare lontano da contesti mediamente tossici, rivalutando il proprio tempo e la propria qualità di vita.
Una Società Malata: La Divinizzazione della Performance
L’autrice conclude l’analisi con una critica sociale più ampia. L’insoddisfazione cronica che dilaga, con il 40% degli italiani che vorrebbe cambiare lavoro, è solo la punta dell’iceberg.
Secondo Schiavone, la necessità di “rallentare e cambiare vita” è il segnale che “la cultura del lavoro così come la stiamo vivendo non va bene”.
La continua ricerca della performance, il processo culturale che divinizza il lavoro e l’indifferenza verso valori come la gentilezza e l’educazione sono i sintomi di una “società malata”.
Per le persone in difficoltà, la soluzione deve essere duplice:
- Intervento Personale: Necessità di interventi psicosociali, l’uso della mindfulness (di cui l’autrice è istruttrice) per la gestione dello stress e terapie psicologiche per ritrovare l’equilibrio perduto.
- Intervento Sistemico: Il problema deve essere affrontato con urgenza dalla politica e dai sindacati, per garantire un ambiente di lavoro più sano, etico e rispettoso della dignità umana.
L’inchiesta di Isabella Schiavone è un invito a guardare oltre la maschera della produttività per riconoscere il costo umano di un sistema che, avvelenando il lavoro, avvelena la società stessa.





