Trent’anni di esperienza alle spalle, uno sguardo che abbraccia il passato e il futuro della professione. Il dott. Mario Garzia, audioprotesista di lungo corso e oggi laureando in Psicologia Clinica, rappresenta una nuova visione del settore: quella di un professionista che non si limita ad “adattare” un apparecchio, ma accompagna la persona in un vero percorso di riabilitazione emotiva, cognitiva e relazionale.
Con lui abbiamo parlato di empatia, di acufeni, di resistenze psicologiche e delle competenze che l’audioprotesista moderno non può più ignorare.
Dottor Garzia, con i suoi trent’anni di esperienza, ha assistito a una trasformazione radicale del settore audioprotesico. Come si sta adeguando a questi tempi che cambiano così velocemente – non solo tecnologicamente, ma anche in termini di aspettative e bisogni relazionali del paziente ipoacusico? Qual è la competenza che oggi ritiene più urgente acquisire per rimanere al passo?
Partirei da una base: in principio c’era il nulla, ovvero non esisteva la figura professionale e sanitaria dell’audioprotesista, le aziende assumevano agenti e rappresentanti di commercio. Tra la metà e la fine degli anni ’90 sono nate le prime scuole abilitate alla formazione dell’audioprotesista, infine con la riforma Universitaria sono nati i corsi di Laurea triennale in Tecniche Audioprotesiche. Tutto questo cosa vuol dire? Adesso siamo tutti Dottori, tutti iper specializzati, ma credo che tutto ciò non basti a soddisfare le reali esigenze. E’ vero, prima non c’era alcuna preparazione sanitaria, ma sicuramente c’era più empatia, più contatto umano. Adesso c’è tanta professionalità ma poca capacità e volontà all’empatia, all’ascolto, alla comunicazione assertiva, a sapersi mettere nei panni degli altri. Bisognerebbe riuscire a fondere queste due caratteristiche (l’aspetto umano e quello sanitario) in un’unica figura, una sorta di Audioprotesista globale che sia sicuramente preparato da un punto di vista sanitario ma che non faccia lezioni di anatomia gratuite e non sia il capiscione di turno a tutti i costi per dover necessariamente ostentare la sua preparazione, ma che sappia ascoltare le esigenze anche più profonde dei pazienti ipoacusici, che li comprenda.
Lei è l’esempio di un Audioprotesista che sta integrando la psicologia clinica con la CBT (terapia cognitiva comportamentale). Nel suo “mondo ideale”, cosa vorrebbe che accadesse al ruolo dell’Audioprotesista? L’evoluzione prioritaria è quella di diventare un vero coach e facilitatore del cambiamento per il paziente, superando l’etichetta di “tecnico dell’adattamento”?
Mi piacerebbe che nei corsi universitari di laurea triennale in Tecniche Audioprotesiche venisse inserita la Psicologia come materia, in modo che la formazione dell’Audioprotesista fosse più completa e maggiormente incline alla più ampia comprensione delle esigenze dei pazienti. Se questo non venisse espletato, auspico che ogni singolo collega comprenda che non ci si può fermare alla sola formazione sanitaria audioprotesica ma che estendesse le proprie conoscenze e competenze anche ad una preparazione ulteriore che può essere ricevuta da una laurea in Psicologia ma anche una corretta formazione commerciale, per ridurre le barriere comunicative che in questo momento esistono tra L’Audioprotesista ed il paziente ipoacusico.
Concentrandoci sul problema dell’acufene, un’area in cui sta specializzando le sue competenze in CBT: Qual è l’approccio all’acufene che lei ritiene essere l’unico realmente efficace oggi? Come un Audioprotesista può usare la comunicazione strategica (e le insight cognitive) per spostare l’attenzione del paziente dalla “cura” impossibile alla “gestione” e alla de-catastrofizzazione del sintomo?
Non può esserci alcun percorso riabilitativo senza la consapevolezza di ciò che accade all’interno dell’orecchio del paziente affetto da acufeni, e delle connotazioni psicofisiche che si sviluppano. Non dimentichiamo che, da evidenze scientifiche e statistiche, la gran parte dei pazienti affetti da acufeni sono anche affetti da ipoacusia, quindi mi sento di affermare che l’approccio terapeutico/riabilitativo deve comprendere due elementi fondamentali ed imprescindibili: innanzitutto quello psicologico, formato dalla corretta informazione dicendo chiaramente cosa si può fare e cosa non si pùò fare, cercando di far uscire il paziente dal proprio isolamento, riducendo le sue ansie e paure ma inserendolo in contesto nuovo fatto di maggiore fiducia ed autostima e parallelamente quello protesico. La riabilitazione uditiva ed audiologica deve avvenire con l’utilizzo delle protesi acustiche con mascheratore di acufeni, in modo da intervenire correttamente e simultaneamente sia da un punto di vista strettamente uditivo ripristinando una corretta soglia di comoda udibilità e di maggiore e migliore discriminazione sonora e verbale sia riducendo sensibilmente l’acufene con l’utilizzo di suoni di copertura o di Mascheramento appunto, in modo che nel tempo i suoni e l’acufene si annullino in modo uguale e contrario in opposizione di fase, ed inoltre il supporto psicologico deve comprendere tutta una serie di fattori che tendano a ridurre l’impatto devastante che il mix ipoacusia/acufeni determina nel paziente anche sotto l’aspetto umano, sociale, relazionale e comportamentale, nell’equilibrio interiore, nel rapporti con se stesso e con gli altri, come ad esempio innanzitutto il dialogo che noi specialisti dobbiamo sviluppare ed implementare con i pazienti, poi ci sono degli elementi che deve sviluppare il paziente stesso come il training autogeno, una corretta alimentazione e l’attività fisica, cercare di ridurre stress e tensioni, fare yoga, ascoltare musica classica In modo particolare Beethoven (in quanto è stato verificato che le armoniche utilizzate tendono a favorire un maggiore rilassamento del paziente e ridurre sensibilmente l’inpatto dell’acufene). La consapevolezza della disabilità, la sua accettazione e l’ulteriore presa di coscienza che tutto ciò non rappresenta una “mission impossible” ma un “Si PUO’ FARE”, deve far si che il paziente possa trasformare la sua visione d’insieme, vedere ed affrontare questa nuova strada non come un qualcosa di utopistico ma al contrario in un percorso necessario, utile, fattibile, che determinerà dei risultati tangibili ed un netto miglioramento della qualità di vita.
Mario, nella sua lunga carriera, ha visto innumerevoli pazienti rifiutare l’apparecchio per motivi non tecnici (orgoglio, stigma, bias cognitivi). Come Audioprotesista specializzato in CBT, quali strumenti strategici utilizza oggi per “decodificare” e intervenire sulle motivazioni più intime e sulle resistenze emotive del paziente ipoacusico, trasformando il rifiuto in accettazione attiva?
Voglio essere sincero, in 30 anni di attività non ho avuto molti rifiuti, ma non posso negare che qualcuno ci sia stato. Le motivazioni sono diverse: non accettazione della patologia uditiva (pensando che siano gli altri a scandir male le parole e che lui invece senta bene…), non accettazione del presidio protesico, non sentirsi pronti all’uso delle protesi, dimensioni eccessive delle protesi stesse, vergogna nel farsi vedere dagli altri con gli apparecchi (preferendo così di sentire e capire poco e male…). Molti di questi retaggi ci sono ancora anche se stanno crescendo degli elementi nuovi che aiutano sempre di più le persone con carenze uditive ad approcciarsi al mondo degli apparecchi acustici, come ad esempio la maggior miniaturizzazione delle protesi, l’informazione su internet e sui canali social, il passaparola positivo di amici o parenti che li utilizzano, la sensibilizzazione della classe medica e le continue campagne degli screening uditivi gratuiti o delle prove gratuite degli apparecchi stessi. Credo che la modalità migliore che l’audioprotesista possa utilizzare per far comprendere all’ipoacusico di avvicinarsi con fiducia al mondo delle protesi acustiche sia essenzialmente quello di una corretta informazione e comunicazione. E’ fondamentale l’audioprotesista instauri immediatamente un rapporto onesto, franco sincero col paziente, di totale apertura ed asserività, ascolto ed empatia, che il paziente venga correttamente informato sulla sua carenza uditiva, in modo da fargli comprendere quali sono le implicazioni negative che si possono sviluppare nella sua vita quotidiana come ad esempio sentire ma non capire tutto ciò che si sente, quando qualcuno gli parla capisce una cosa per un’altra, lui si chiude in se stesso per non fare brutta figura con le persone con le quali conversa, sensibilizzarlo sulle ragioni di sicurezza ovvero quando si attraversa la strada non sentire le auto che passano, non sentire il citofono o il telefono che squilla e ciò può determinare anche apprensione da parte dei familiari, rischio reale dell’aumento di patologie neurologiche come perdita della memoria, demenza ed Alzheimer. Dimostrandogli anche, con dati tangibili, che molti dei possibili retaggi ormai non esistono più come ad esempio le dimensioni ridotte delle protesi, la tecnologia sempre più evoluta. E opo l’enunciazione di tutti questi elementi che possono sicuramente rispecchiare la sua condizione, è altrettanto importante però accompagnarlo verso un percorso positivo, aiutandolo a liberarsi di eventuali preconcetti che fino a quel momento lo hanno condizionato negativamente, e camminare insieme a lui/lei, nel senso che il nostro paziente dovrà avere la chiara percezione e consapevolezza che da quel momento in poi non sarà più solo, che l’Audioprotesista non sarà soltanto chi gli venderà gli apparecchi ed il tutto finisce li, ma sarà il suo terapista per la riabilitazione uditiva per tutta la vita, e che in qualunque momento saremo pronti a supportarlo nel suo percorso per il corretto reinserimento umano, sociale e relazionale, e che grazie all’uso corretto delle protesi ed al nostro supporto e consulenza riacquisterà il piacere di parlare, di ascoltare, di comunicare, di riprendersi la propria fiducia ed autostima interiore, di essere più consci delle proprie possibilità.
Per un Audioprotesista neolaureato che entra nel mondo del lavoro, le sue competenze integrate sono il modello da seguire. Quali sono i tre consigli più urgenti e cruciali (non tecnici, ma relazionali e di mentalità) che darebbe per eccellere e non limitarsi a “fare l’adattamento”, ma a diventare un professionista capace di facilitare un cambiamento duraturo nella vita del paziente?
Un neocollega appena uscito dall’Università ha dei parametri totalmente diversi, sbagliati ed oltremodo forvianti rispetto alla realtà con cui si scontrerà attraverso il suo inserimento nel mondo del lavoro, in quanto all’interno del corso di studio non vengono forniti gli elementi corretti che permetterebbero ad un audioprotesista di avere un quadro chiaro di ciò che sarà la propria attività lavorativa. Un audioprotesista che si affaccia per la prima volta al mondo del lavoro non sa che nella generalità dei casi lavorerà in ambiente privato e per obiettivi di vendita, ed inoltre generalmente, in sede di colloquio selettivo, voglia sapere prima di ogni cosa quanto prenderà di stipendio senza neanche voler dimostrare cosa davvero sa fare, e poi le uniche cose che vuole fare sono fare gli esami audiometrici e le applicazioni protesiche. Punto. Di tutto ciò che riguarda invece l’aspetto legato all’accoglienza dei pazienti, alla costruzione di un dialogo empatico, all’ascolto, alla presa in carico in toto del paziente fino alla scelta protesica ed infine alla vendita degli apparecchi acustici, gli audioprotesisti “moderni” non hanno alcuna voglia di occuparsene. Si fanno le loro ore e basta. Inoltre non ha la benchè minima formazione commerciale che psicologica. Sarebbe bene che nei corsi di laurea venissero introdotte materie inerenti alla psicologia, al marketing, alla formazione commerciale, perchè continuando in questo modo ci sarà sempre una dicotomia totale tra le loro speranze ed aspettative e la realtà nuda e cruda. I consigli migliori che posso dare ai colleghi più giovani, che hanno voglia di intraprendere questa meravigliosa attività sono di essere più umili, saper dimostrare cosa sanno davvero fare e saper investire su loro stessi, con una formazione commerciale e psicologica post laurea, che permetta loro di esprimere al meglio le proprie potenzialità, in quanto i pazienti non hanno bisogno solo dell’audioprotesista bravo e competente che li aiuti a sentire meglio, ma anche e soprattutto di una persona che possa dargli il giusto supporto da un punto di vista psicologico, che li ascolti, che faccia venir fuori i loro bisogni latenti, le loro necessità, le loro paure, le loro perplessità, e che trasformi tutto ciò nelle loro sicurezze.





