Alimentazione

Sale negli alimenti. Italiani virtuosi

Ridurre il sale, ovvero l’apporto di sodio che assumiamo con gli alimenti, è una delle principali strategie proposte dall’OMS per diminuire il rischio di sviluppare malattie croniche non trasmissibili, cardio e cerebrovascolari.

Un approccio che è sostenuto da diverse evidenze scientifiche, così come confermano i dati del Global Burden of Disease Risk Factors Collaboration: l’eccesso di sale/sodio, è al primo posto tra i fattori di rischio dieta correlati a livello globale, sarebbe responsabile di oltre 4 milioni di morti all’anno nel mondo.
E’, quindi, interessante notare come gli italiani siano in una positiva controtendenza rispetto alle quantità di sale con cui condiscono gli alimenti.

Così come riportato dalla rivista Nutrition Foundation of Italy, la recente indagine italiana, all’interno del progetto CUORE/MINISAL-GIRCSI/MENO SALE PIU’ SALUTE, delineerebbe un sostanziale quadro positivo per l’Italia in termini di quantità di sale nei cibi.

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L’apporto di sale con l’alimentazione nel nostro Paese, infatti,  si è ridotto in modo significativo in meno di 10 anni: del 13% per le donne e del 12% per gli uomini, indipendentemente da età, indice di massa corporea e altri fattori potenzialmente confondenti.
Lo studio, che ha coinvolto circa 1.900 persone di 35-74 anni residenti in 10 regioni tra il 2008 e il 2012 e poco meno di 2.000 tra il 2018 e il 2019, è basato sulla determinazione del sodio escreto nel giro di 24 ore.
La variazione osservata riflette probabilmente la maggiore attenzione sia al sale aggiunto, confermata dal maggior numero di persone che tra il 2018 e il 2019, rispetto al periodo 2008-2012, hanno affermato di non salare mai, o di salare solo raramente, le pietanze in tavola, e sia al sale nascosto, come dimostra l’aumento nel tempo delle preferenze per il pane poco sapido.
I livelli medi di consumo più recenti (9,5 g/die per gli uomini e 7,2 g/die per le donne) sono comunque ancora superiori rispetto ai valori proposti dalle linee guida.

Tuttavia, si sottolinea come la riduzione dell’apporto di sodio ottenuta in 10 anni corrisponda a circa un terzo di quella auspicata dall’OMS come obiettivo del Global Action Plan 2013-2020 e pari al 30% della quota iniziale

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