Editoriale

Telemedicina ed equità digitale

La telemedicina, in era pandemica, si è consolidata come erogatrice primaria di assistenza.

Tuttavia, la telemedicina cioè l’assistenza virtuale, potrebbe rivelarsi un tipo di assistenza elitaria in vista di un crescente divario digitale.

La rivista “Nature” ha pubblicato un documento inerente all’argomento della telemedicina riflettendo proprio sulla necessità di un’equità digitale che possa permettere a tutti l’accesso all’assistenza medica virtuale.

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La telemedicina sostituisce il rapporto personale con quello virtuale, un approccio drammaticamente aumentato dopo la pandemia di Covid-19.

Ma qual è lo stato di alfabetizzazione digitale?

E ancora, hanno tutti gli utenti gli spazi privati necessari a una valida assistenza telemedica? In altre parole, hanno tutti case abbastanza grandi?

Sono punti di una vasta discussione in ambito scientifico sui quale è necessario riflettere, dato che, le soluzioni digitali promosse dai sistemi sanitari potrebbero non tener conto del divario digitale e della disparità, quindi, di accesso all’assistenza sanitaria.

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È indubbia la capacità della risorsa tecnologica di migliorare, per certi aspetti e in determinate realtà sociali, la risposta sanitaria.

Allo stesso modo, però, i benefici digitali dovrebbero essere di facile accesso e fruibili dai più.

Telemedicina si, ma per chi?

“Il divario digitale chiarisce che la sfida non riguarda solo l’accesso a Internet e ai dispositivi connessi, ma anche la motivazione e l’alfabetizzazione digitale per utilizzare tali tecnologie in modo significativo” scrive l’articolo pubblicato dalla rivista Nature. 

Esiste un divario digitale e un’assenza di una politica di promozione dell’equità sanitaria nell’assistenza virtuale, della telemedicina.

La strategia richiesta dalla comunità scientifica dovrebbe riuscire ad assicurare a tutti l’assistenza virtuale sanitaria, se è questa, dunque, la direzione intrapresa dalle strutture.

“Il lavoro futuro dovrebbe stabilire un processo decisionale clinico per indicare chiaramente i casi d’uso clinico in cui il telefono è più appropriato, di utilità moderata o presenta un rischio se utilizzato.

Lo stesso controllo dovrebbe essere ugualmente applicato al video, che di per sé non è stato stabilito come universalmente appropriato o sicuro, e anche a più nuove applicazioni di cure virtuali come messaggi di testo sicuri o monitoraggio remoto dei pazienti.

 Quando l’utente principale del sistema, il paziente, è al centro, diventa chiaro che un’unica soluzione non sarà sufficiente per le diverse esigenze della popolazione. Poiché i fornitori e i sistemi sanitari pianificano un uso più importante dell’assistenza virtuale in futuro, è imperativo chiedersi se le nostre soluzioni predefinite siano accessibili a tutti.

In caso contrario, il divario digitale continuerà a crescere”.

 

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