Aumentano le aggressioni agli operatori sanitari, con 5mila casi all’anno e un sommerso che conta 125.000 episodi di violenza.
Aggressioni agli operatori sanitari: un focus che arriva da testimonianze e le indagini di otto Università tra cui quella di Genova che nel dettaglio rileva come gli infermieri siano la categoria più colpita.
Il 75% degli episodi di aggressioni agli operatori sanitari coinvolge donne, e nel 40% circa dei casi si è trattato di violenze fisiche.
Vere e proprie aggressioni che hanno lasciato il segno: il 33% delle vittime è caduto in situazioni di burnout e il 10,8% presenta danni permanenti a livello fisico o psicologico.
Fnopi, anche in concomitanza della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari che si celebra il 12 marzo, ha divulgato un comunicato in cui scrive: “Molti colleghi, non solo infermieri ma tutte le professioni sanitarie che sono a contatto con l’utenza, non stanno denunciando soprattutto le aggressioni verbali, perché sembra quasi sia diventata una modalità relazionale con cui fare i conti quotidianamente”, ha detto la presidente della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), Barbara Mangiacavalli.
Le aggressioni agli operatori sanitari incidono negativamente sull’equilibrio dei lavoratori dell’ambito sanitario, e crescono le evidenze scientifiche di settore che ci parlano di episodi di burnout, stress, disaffezione rispetto al lavoro e alla professione, “tanto è vero che in questi anni stiamo registrando moltissimi abbandoni della professione” continua Mangiacavalli.
“L’aggressione – spiega – è l’effetto di una serie di cause anche importanti che affondano le radici in diversi contesti, tra cui i modelli organizzativi e alcune mancate risposte che i cittadini patiscono.
I bisogni dei cittadini spesso non vengono convogliati verso i luoghi più adeguati, ad esempio molti accessi al Pronto Soccorso non sono legati a situazioni di criticità vitali.
Emergono invece bisogni di ascolto, necessità di presa in carico di situazioni complesse, che sfiorano la sfera socioassistenziale. Si aspettano quindi una risposta da un servizio, da una struttura, che spesso non è quella corretta. Occorre quindi investire affinché vi siano servizi territoriali sempre più capillari e conosciuti”.
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