Medicina

Caffeina: effetti protettivi

La caffeina ha effetti benefici sulle malattie umane.

Si tratta di un argomento ben documentato, ma i meccanismi molecolari dei suoi composti bioattivi sul cancro non sono completamente chiariti.

Ciò è probabilmente dovuto alla grande eterogeneità delle preparazioni di caffè  e delle diverse bevande a base di caffè, ma anche alla scelta di modelli sperimentali in cui la proliferazione, la differenziazione e le risposte immunitarie sono influenzate in modo diverso. 

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A indagare in questo senso è una ricerca pubblicata sulla rivista Molecules   con lo scopo di capire gli effetti di uno dei composti bioattivi più interessanti nel caffè, la caffeina, utilizzando un modello cellulare di melanoma a un livello di differenziazione definito.

Un’analisi preliminare in silico condotta su banche dati pubbliche di espressione genica ha identificato i geni potenzialmente coinvolti negli effetti della caffeina e ha suggerito alcuni bersagli molecolari specifici, tra cui la tirosinasi.

La proliferazione è stata studiata in vitro su cellule che iniziano il melanoma umano (MIC) ed è stata misurata l’espressione di citochine in terreni condizionati. 

caffeina

La tirosinasi si è rivelata un attore chiave nei meccanismi d’azione della caffeina, suggerendo un ruolo cruciale nell’immunomodulazione”.

È probabile che i potenti effetti antiproliferativi della caffeina  si verifichino promuovendo la produzione di melanina e riducendo la secrezione di segnali infiammatori.

Questi dati suggeriscono che la tirosinasi sia un attore chiave che media gli effetti della caffeina sul melanoma. suggerendo un ruolo cruciale nell’immunomodulazione attraverso la riduzione della secrezione di IL-1β, IP-10, MIP-1α, MIP-1β e RANTES su terreni condizionati da MIC” scrivono gli autori.

Lo studio è stato condotto dai ricercatori dell’ISS in collaborazione con i ricercatori di  IRCCS (l’IDI di Roma e il Neuromed di Pozzilli) e di due università italiane (l’Università di Ferrara e l’Università di Roma «Tor Vergata»).

I risultati dello studio individuano nuove prospettive nell’ambito della terapia differenziativa, finalizzata cioè a far differenziare le cellule per colpire solo quelle tumorali evitando la comparsa di recidive dopo il trattamento chemioterapico.

 

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